«Io ho paura che questa società non si domandi più nulla, chieda solo e soltanto tecnologia: la tecnologia svuota, modifica i comportamenti, ci indica quel che serve a sopravvivere bene ma non risolve il senso della vita. A poco a poco stiamo diventando dei primitivi tecnologizzati in una civiltà dell’ingiustizia»
Categoria: societa’
“Una corruzione della legge che viola uguaglianza e imparzialità”
Il costituzionalista Zagrebelsky: così si apre la strada a nuove intimidazioni
Il presidente Napolitano opera per evitare la violenza
ROMA – Non critica Napolitano, dissente da Di Pietro, benedice le proteste, boccia un decreto inconcepibile in uno Stato di diritto. Gustavo Zagrebelsky inizia citando un episodio che, “nel suo piccolo”, indica lo stravolgimento dell’informazione. Al Tg1 di venerdì sera va in onda la foto di Hans Kelsen, uno dei massimi giuristi del secolo scorso. “Gli fanno dire che la sostanza deve prevalere sulla forma: a lui, che ha sempre sostenuto che, in democrazia, le forme sono sostanza. Una disonestà, tra tante. Gli uomini di cultura dovrebbero protestare per l’arroganza di chi crede di potersi permettere di tutto”.
Professore, che succede?
“Apparentemente, un conflitto tra forma e sostanza”.
Apparentemente?
“Se guardiamo più a fondo, è un abuso, una corruzione della forza della legge per violare insieme uguaglianza e imparzialità”.
Perché? Non si trattava invece proprio di permettere a tutti di partecipare alle elezioni?
“Il diritto di tutti è perfettamente garantito dalla legge. Naturalmente, chi intende partecipare all’elezione deve sottostare ad alcuni ovvi adempimenti circa la presentazione delle candidature. Qualcuno non ha rispettato le regole. L’esclusione non è dovuta alla legge ma al suo mancato rispetto. È ovvio che la più ampia “offerta elettorale” è un bene per la democrazia. Ma se qualcuno, per colpa sua, non ne approfitta, con chi bisogna prendersela: con la legge o con chi ha sbagliato? Ora, il decreto del governo dice: dobbiamo prendercela con la legge e non con chi ha sbagliato“.
E con ciò?
“Con ciò si violano l’uguaglianza e l’imparzialità, importanti sempre, importantissime in materia elettorale. L’uguaglianza. In passato, quante sono state le esclusioni dalle elezioni di candidati e liste, per gli stessi motivi di oggi? Chi ha protestato? Tantomeno: chi ha mai pensato che si dovessero rivedere le regole per ammetterle? La legge garantiva l’uguaglianza nella partecipazione. Si dice: ma qui è questione del “principale contendente”. Il tarlo sta proprio in quel “principale”. Nelle elezioni non ci sono “principali” a priori. Come devono sentirsi i “secondari”? L’argomento del principale contendente è preoccupante. Il fatto che sia stato preso per buono mostra il virus che è entrato nelle nostre coscienze: il numero, la forza del numero determina un plusvalore in tema di diritti“.
E l’imparzialità?
“Il “principale contendente” è il beneficiario del decreto ch’esso stesso si è fatto. Le pare imparzialità? Forse, penseremmo diversamente se il beneficiario fosse una forza d’opposizione. Ma la politica non è il terreno dell’altruismo. Ci accontenteremmo allora dell’imparzialità”.
Anche lei, come l’ex presidente Onida, considera il dl una legge ad personam?
“Questa vicenda è il degno risultato di un atteggiamento sbagliato che per anni è stato tollerato. Abbiamo perso il significato della legge. Vorrei dire: della Legge con la maiuscola. Le leggi sono state piegate a interessi partigiani perché chi dispone della forza dei numeri ritiene di poter piegare a fini propri, anche privati, il più pubblico di tutti gli atti: la legge, appunto. Si è troppo tollerato e la somma degli abusi ha quasi creato una mentalità: che la legge possa rendere lecito ciò che più ci piace”.
Torniamo al decreto. Si poteva fare?
“La legge 400 dell’88 regola la decretazione d’urgenza. L’articolo 15, al comma 2, fa divieto di usare il decreto “in materia elettorale”. C’è stata innanzitutto la violazione di questa norma, dettata non per capriccio, ma per ragioni sostanziali: la materia elettorale è delicatissima, è la più refrattaria agli interventi d’urgenza e, soprattutto, non è materia del governo in carica, cioè del primo potenziale interessato a modificarla a suo vantaggio. Mi pare ovvio”.
Quindi, nel merito, il decreto viola la Costituzione?
“Se fosse stato adottato indipendentemente dalla tornata elettorale e non dal governo, le valutazioni sarebbero del tutto diverse. Dire che il termine utile è quello non della “presentazione” delle liste, ma quello della “presenza dei presentatori” nei locali a ciò adibiti, può essere addirittura ragionevole. Non è questo il punto. È che la modifica non è fatta nell’interesse di tutti, ma nell’interesse di alcuni, ben noti, e, per di più, a partita in corso. È un intervento fintamente generale, è una “norma fotografia””.
Siamo di fronte a una semplice norma interpretativa?
“Quando si sostituisce la presentazione delle liste con la presenza dei presentatori non possiamo parlare di interpretazione. È un’innovazione bella e buona“.
E la soluzione trovata per Milano?
“Qui si trattava dell’autenticazione. Le formule usate per risolvere il problema milanese sono talmente generiche da permettere ai giudici, in caso di difetti nella certificazione, di fare quello che vogliono. Così, li si espone a tutte le possibili pressioni. Nell’attuale clima di tensione, questa pessima legislazione è un pericolo per tutti; è la via aperta alle intimidazioni“.
Lei boccia del tutto il decreto?
“Primo: un decreto in questa materia non si poteva fare. Secondo: soggetti politici interessati modificano unilateralmente la legislazione elettorale a proprio favore. Terzo: si finge che sia un interpretazione, laddove è evidente l’innovazione. Quarto: l’innovazione avviene con formule del tutto generiche che espongono l’autorità giudiziaria, quale che sia la sua decisione, all’accusa di partigianeria”.
Di Pietro e Napolitano. È giusta la critica dell’ex pm al Colle?
“Le reazioni di Di Pietro, quando accusa il Capo dello Stato di essere venuto meno ai suoi doveri, mi sembrano del tutto fuori luogo. Ciascuno di noi è libero di preferire un comportamento a un altro. Ma è facile, da fuori, pronunciare sentenze. La politica è l’arte di agire per i giusti principi nelle condizioni politiche date. Queste condizioni non sempre consentono ciò che ci aspetteremmo. Quali sono le condizioni cui alludo? Sono una sorta di violenza latente che talora viene anche minacciata. La violenza è la fine della democrazia. Il Capo dello Stato fa benissimo a operare affinché non abbia mai a scoppiare”.
Ma Di Pietro, nella firma del Presidente, vede un attentato.
“La vita politica non si svolge nel vuoto delle tensioni, ma nel campo del possibile. Il presidente ha agito usando l’etica della responsabilità, mentre evocare iniziative come l’impeachment significa agire secondo l’etica dell’irresponsabilità”.
Lei è preoccupato da tutto questo?
“Sì, è anche molto. Perché vedo il tentativo di far prevalere le ragioni della forza sul quelle del diritto. Bisogna dire basta alla prepotenza dei numeri e chiamare tutte le persone responsabili a riflettere sulla violenza che la mera logica dei numeri porta in sé“.
L’opposizione è in rivolta. Le prossime manifestazioni e le centinaia di messaggi sul web non rischiano di produrre una spirale inarrestabile?
“Ogni forma di mobilitazione contro gli abusi del potere è da approvare. L’unica cautela è far sì che l’obiettivo sia difendere la Costituzione e non alimentare solo la rissa. C’è chi cerca di provocare lo scontro. Per evitarlo non si può rinunciare a difendere i principi fondamentali. Speriamo che ci si riesca. La mobilitazione dell’opposizione responsabile e di quella che si chiama la società civile può servire proprio a far aprire gli occhi ai molti che finora non vedono”.
http://www.repubblica.it/politica/2010/03/07/news/zagrebelsky_intervista-2539237/
“How a New Jobless Era Will Transform America “
Un po’ lungo, ma ne vale la pena, ricco di osservazioni. Probabilmente la nostra societa’ (europea, italiana) ha qualche anticorpo in piu’ – ma basta guardarsi un po’ in giro per vedere che sono veramente rari.
“Many of today’s young adults seem temperamentally unprepared for the circumstances in which they now find themselves. Jean Twenge, an associate professor of psychology at San Diego State University, has carefully compared the attitudes of today’s young adults to those of previous generations when they were the same age. Using national survey data, she’s found that to an unprecedented degree, people who graduated from high school in the 2000s dislike the idea of work for work’s sake, and expect jobs and career to be tailored to their interests and lifestyle. Yet they also have much higher material expectations than previous generations, and believe financial success is extremely important. “There’s this idea that, ‘Yeah, I don’t want to work, but I’m still going to get all the stuff I want,’” Twenge told me. “It’s a generation in which every kid has been told, ‘You can be anything you want. You’re special.’”
via The Atlantic Online | March 2010 | How a New Jobless Era Will Transform America | Don Peck.
Metti un pane nel motore…
Follie.
Il grano che dovrebbe diventare cibo trasformato in carburante. Negli Stati Uniti un quarto dei cereali coltivati nel 2009 hanno alimentato auto, non persone: lo sostiene uno studio dell’Earth Policy Institute che ha analizzato i dati del Dipartimento all’Agricoltura.
Le cifre dell’anno scorso mostrano che la produzione di etanolo è salita a livelli record grazie ai sussidi agli agricoltori e a leggi che richiedono ai veicoli di usare quantità crescenti di biocarburanti. «Il grano coltivato per produrre carburante negli Usa nel 2009 sarebbe bastato a dar da mangiare a 330 milioni di persone per un anno» ha detto Ester Brown, direttore dell’istituto che ha analizzato i dati. L’anno scorso gli agricoltori Usa hanno raccolto 107 milioni di tonnellate di cereali, soprattutto mais, destinati a carburante, il doppio del 2007, quando l’allora presidente George W. Bush esortò ad aumentare la produzione del 500% entro il 2017 in nome del risparmio energetico.
via Cibo per 300 milioni di persone in Usa diventa carburante – Il Sole 24 ORE.
Il pifferaio
“Non abbiamo niente da guadagnare da un modello di democrazia populista, dove c’e’ un miliardario che suona il piffero e tutti i poveracci che gli vanno dietro. Non c’e’ sviluppo ne’ sociale, ne’ economico, ne’ civile”
via BERSANI, NO A DEMOCRAZIA POPULISTA DEL PIFFERAIO | News | La Repubblica.it.
Privacy & FB
In questi giorni, FB sta aggiornando le regole della privacy. Vale darci un’occhiata con calma, e agire in base al proprio stile.
E’ ora un po’ piu’ chiaro cosa e a chi si rende visibile del proprio io virtuale. Assolutamente da controllare anche la parte che riguarda cosa i propri amici possono rendere pubblico di noi.
Siccome vanno tanto di moda le applicazioni a’ la Farmville e compagnia cantante, meglio usare gli strumenti che FB ci fornisce per evitare che quello che non vogliamo rendere pubblico da una parte venga ottenuto dall’altra… 🙂 Almeno essere coscienti di quello che si regala in giro!
Privacy Settings >> Applications and Websites
When your friend visits a Facebook-enhanced application or website, they may want to share certain information to make the experience more social. For example, a greeting card application may use your birthday information to prompt your friend to send a card.If your friend uses an application that you do not use, you can control what types of information the application can access. Please note that applications will always be able to access your publicly available information (Name, Profile Picture, Gender, Current City, Networks, Friend List, and Pages) and information that is visible to Everyone.
SMS alla guida: video e test per mettersi alla prova…
Lo sappiamo, e ogni giorno la cronaca ce lo ricorda: telefonare e mandare SMS mentre si e’ alla guida e’ pericoloso.
In questo video segnalato dalla BBC si vede una realistica drammatizzazione delle conseguenze di un attimo di distrazione mentre si e’ alla guida: basta poco.
Basta veramente poco per mandare in saturazione il nostro cervello mentre si e’ alla guida, distraendoci e rallentando cosi’ le nostre reazioni.
C’e’ questo giochino Flash del Ministero dei Trasporti inglese: semplice, efficace – e in pochi minuti si vedono i risultati…
Provato? … vero che chi l’avrebbe detto che… 🙂
Per chi vuole continuare, segnalo quest’altro comparso tempo fa sul New York Times.
Piu’ semplice … ma eguamente efficace….
Oro (quasi) a 1000 dollari /oncia
Da circa sei mesi, ogni tanto al mattino lancio un’occhiata all’andamento dei prezzi dell’oro. In genere, in ribasso e verso valori “bassi” quando non ci sono tensioni internazionali o altri problemi “evidenti” (gli altri, ci sono e restano). Qui c’e’ un sito che riporta gli andamenti. Lo considero un po’ come il “vero” termometro dell’economia mondiale, e del “mood” generale del mondo.Basso = tutto ok, alto = tempo brutto in arrivo.
Per cui, al di la’ delle notizie quasi rosa delle cronaca economica rilanciata dai media oggi sui rally di borsa, l’approssimarsi odierno a quota mille della quotazione del dollaro fa pensare che si approssimi ancora qualche problema nei prossimi giorni (anche se, a guardare i grafici annuali, settembre e’ stata quasi sempre stagioni di “picchi”).
Migrazione: tutti i muri a difesa del nostro mondo.
Da Information Is Beautiful la rappresentazione dei muri (amministrativi, e in qualche caso anche fisici) esistenti a difesa del mondo occidentale. Colpisce come iniziative che “apparentemente” sono comparse negli anni in maniera sporadica e indipendente qua e la’, si adattino invece ad un disegno complessivo. Con l’ultimo tassello (la difesa della coste italiane) solertemente messo in atto dall’attuale ministro leghista.
Attenzione e Distrazione: spunti
Interessante articolo del NYMagazine sull’impatto che le nuove tecnologie hanno sull’attenzione e sulla modifica del modo di apprendere. Diversi spunti interessanti pro/con (in parte anche impliciti nel “Flow” di Csikszentmihalyi ).
Back in 1971, when the web was still twenty years off and the smallest computers were the size of delivery vans, before the founders of Google had even managed to get themselves born, the polymath economist Herbert A. Simon wrote maybe the most concise possible description of our modern struggle: “What information consumes is rather obvious: It consumes the attention of its recipients. Hence a wealth of information creates a poverty of attention, and a need to allocate that attention efficiently among the overabundance of information sources that might consume it.”
…. Are we living through a crisis of attention?
Before I even have a chance to apologize, Meyer responds with the air of an Old Testament prophet. “Yes,” he says. “And I think it’s going to get a lot worse than people expect.” He sees our distraction as a full-blown epidemic—a cognitive plague that has the potential to wipe out an entire generation of focused and productive thought. He compares it, in fact, to smoking. “People aren’t aware what’s happening to their mental processes,” he says, “in the same way that people years ago couldn’t look into their lungs and see the residual deposits.”
…Over the last twenty years, Meyer and a host of other researchers have proved again and again that multitasking, at least as our culture has come to know and love and institutionalize it, is a myth. When you think you’re doing two things at once, you’re almost always just switching rapidly between them, leaking a little mental efficiency with every switch. Meyer says that this is because, to put it simply, the brain processes different kinds of information on a variety of separate “channels”—a language channel, a visual channel, an auditory channel, and so on—each of which can process only one stream of information at a time. If you overburden a channel, the brain becomes inefficient and mistake-prone.
…
The tech theorist Linda Stone famously coined the phrase “continuous partial attention” to describe our newly frazzled state of mind. American office workers don’t stick with any single task for more than a few minutes at a time; if left uninterrupted, they will most likely interrupt themselves. Since every interruption costs around 25 minutes of productivity, we spend nearly a third of our day recovering from them. We keep an average of eight windows open on our computer screens at one time and skip between them every twenty seconds. When we read online, we hardly even read at all—our eyes run down the page in an F pattern, scanning for keywords. When you add up all the leaks from these constant little switches, soon you’re hemorrhaging a dangerous amount of mental power. People who frequently check their e-mail have tested as less intelligent than people who are actually high on marijuana. Meyer guesses that the damage will take decades to understand, let alone fix.
…The ability to positively wield your attention comes off, in the book, as something of a panacea; Gallagher describes it as “the sine qua non of the quality of life and the key to improving virtually every aspect of your experience.” It is, in other words, the Holy Grail of self-help: the key to relationships and parenting and mood disorders and weight problems. (You can apparently lose seven pounds in a year through the sheer force of paying attention to your food.)
“You can’t be happy all the time,” Gallagher tells me, “but you can pretty much focus all the time. That’s about as good as it gets.”
The most promising solution to our attention problem, in Gallagher’s mind, is also the most ancient: meditation. Neuroscientists have become obsessed, in recent years, with Buddhists, whose attentional discipline can apparently confer all kinds of benefits even on non-Buddhists. (Some psychologists predict that, in the same way we go out for a jog now, in the future we’ll all do daily 20-to-30-minute “secular attentional workouts.”) Meditation can make your attention less “sticky,” able to notice images flashing by in such quick succession that regular brains would miss them. It has also been shown to elevate your mood, which can then recursively stoke your attention: Research shows that positive emotions cause your visual field to expand. The brains of Buddhist monks asked to meditate on “unconditional loving-kindness and compassion” show instant and remarkable changes: Their left prefrontal cortices (responsible for positive emotions) go into overdrive, they produce gamma waves 30 times more powerful than novice meditators, and their wave activity is coordinated in a way often seen in patients under anesthesia.
Gallagher stresses that because attention is a limited resource—one psychologist has calculated that we can attend to only 110 bits of information per second, or 173 billion bits in an average lifetime—our moment-by-moment choice of attentional targets determines, in a very real sense, the shape of our lives. Rapt’s epigraph comes from the psychologist and philosopher William James: “My experience is what I agree to attend to.” For Gallagher, everything comes down to that one big choice: investing your attention wisely or not.
…
. The Internet is basically a Skinner box engineered to tap right into our deepest mechanisms of addiction. As B. F. Skinner’s army of lever-pressing rats and pigeons taught us, the most irresistible reward schedule is not, counterintuitively, the one in which we’re rewarded constantly but something called “variable ratio schedule,” in which the rewards arrive at random. And that randomness is practically the Internet’s defining feature: It dispenses its never-ending little shots of positivity—a life-changing e-mail here, a funny YouTube video there—in gloriously unpredictable cycles. It seems unrealistic to expect people to spend all day clicking reward bars—searching the web, scanning the relevant blogs, checking e-mail to see if a co-worker has updated a project—and then just leave those distractions behind, as soon as they’re not strictly required, to engage in “healthy” things like books and ab crunches and undistracted deep conversations with neighbors. It would be like requiring employees to take a few hits of opium throughout the day, then being surprised when it becomes a problem.
…One of the weaknesses of lifehacking as a weapon in the war against distraction, Mann admits, is that it tends to become extremely distracting. You can spend solid days reading reviews of filing techniques and organizational software. “On the web, there’s a certain kind of encouragement to never ask yourself how much information you really need,” he says. “But when I get to the point where I’m seeking advice twelve hours a day on how to take a nap, or what kind of notebook to buy, I’m so far off the idea of lifehacks that it’s indistinguishable from where we started. There are a lot of people out there that find this a very sticky idea, and there’s very little advice right now to tell them that the only thing to do is action, and everything else is horseshit. My wife reminds me sometimes: ‘You have all the information you need to do something right now.’ ”
…It’s important to remember, however, that the most famous moment in all of Proust, the moment that launches the entire monumental project, is a moment of pure distraction: when the narrator, Marcel, eats a spoonful of tea-soaked madeleine and finds himself instantly transported back to the world of his childhood. Proust makes it clear that conscious focus could never have yielded such profound magic: Marcel has to abandon the constraints of what he calls “voluntary memory”—the kind of narrow, purpose-driven attention that Adderall, say, might have allowed him to harness—in order to get to the deeper truths available only by distraction. That famous cookie is a kind of hyperlink: a little blip that launches an associative cascade of a million other subjects. This sort of free-associative wandering is essential to the creative process; one moment of judicious unmindfulness can inspire thousands of hours of mindfulness.
…
My favorite focusing exercise comes from William James: Draw a dot on a piece of paper, then pay attention to it for as long as you can. (Sitting in my office one afternoon, with my monkey mind swinging busily across the lush rain forest of online distractions, I tried this with the closest dot in the vicinity: the bright-red mouse-nipple at the center of my laptop’s keyboard. I managed to stare at it for 30 minutes, with mixed results.) James argued that the human mind can’t actually focus on the dot, or any unchanging object, for more than a few seconds at a time: It’s too hungry for variety, surprise, the adventure of the unknown. It has to refresh its attention by continually finding new aspects of the dot to focus on: subtleties of its shape, its relationship to the edges of the paper, metaphorical associations (a fly, an eye, a hole). The exercise becomes a question less of pure unwavering focus than of your ability to organize distractions around a central point. The dot, in other words, becomes only the hub of your total dot-related distraction.
This is what the web-threatened punditry often fails to recognize: Focus is a paradox—it has distraction built into it. The two are symbiotic; they’re the systole and diastole of consciousness. Attention comes from the Latin “to stretch out” or “reach toward,” distraction from “to pull apart.” We need both. In their extreme forms, focus and attention may even circle back around and bleed into one other.